I permessi retribuiti dei docenti ex art. 15, comma 2, del C.C.N.L. 2006-2009 non possono essere negati a nessun titolo.

Riteniamo opportuno, ancora una volta, ritornare su un argomento ampiamente trattato in ambito giurisprudenziale che ha chiarito un diritto intangibile in capo al personale docente, di poter richiedere nel corso dell’anno scolastico quei permessi retribuiti senza che vi sial alcuna intromissione di alcun tipo da parte del dirigente scolastico. Sia chiaro che i “permessi retribuiti” sono infatti un diritto e come tale non possono essere oggetto di alcun potere discrezionale poiché sono un diritto contrattualmente sancito.

Peraltro tenuto conto delle numerose sentenze emesse dai giudici del lavoro, la previsione contrattuale dell’art. 15, comma 2, sarebbe spesso derogata dai dirigenti scolastici.

Prima di approfondire nel merito, più di quanto non lo abbia già fatto in questi anni la giurisprudenza giuslavoristica, è quanto mai opportuno chiarire il significato della dicitura “motivi personali e familiari”, contenuta nell’art. 15, comma 2 del C.C.N.L. 2006-2009. L’interpretazione viene fornita da una remota sentenza della Corte dei Conti risalente al 1984, in cui si affermava che i motivi personali o familiari “possono identificarsi con tutte quelle situazioni configurabili come meritevoli di apprezzamento e di tutela secondo il comune consenso, in quanto attengono al benessere, allo sviluppo ed al progresso dell’impiegato inteso come membro di una famiglia o anche come persona singola. Pertanto, non deve necessariamente trattarsi di motivi o eventi gravi (con la connessa attribuzione all’ente di un potere di valutazione della sussistenza o meno del requisito della gravità), ma piuttosto di situazioni o di interessi ritenuti dal dipendente di particolare rilievo che possono essere soddisfatti solo con la sua assenza dal lavoro” (Corte dei Conti, sez. contr., 3 febbraio 1984, n. 1415).

I principi esposti dalla Corte dei Conti sono stati recepiti da numerose sentenze sulla tematica in oggetto, emesse da alcuni Tribunali italiani e che hanno fatto il giro del web al fine di informare gli interessati e, quindi, di indirizzare i comportamenti dei richiedenti i permessi sulla esatta e corretta interpretazione dell’art. 15, comma 2 del C.C.N.L. 2006-2009.

Alcune delle sentenze in questione, si citano la sentenza n. 271 del 2013 del Tribunale di Sciacca, la sentenza n. 309 del 2012 del Tribunale di Lagonegro, la sentenza n. 288 del 2011 del Tribunale di Monza, chiariscono gli aspetti fondamentali che possono essere di aiuto qualora si manifesti un rifiuto dirigenziale di concedere la fruizione dei permessi retribuiti ai dipendenti.

Chiariscono le sentenze che i permessi retribuiti ai sensi dell’art. 15, comma 2, si configurano come un diritto che il dipendente chiede a domanda, senza che si aspetti alcuna concessione discrezionale.

La fruizione di tale diritto è subordinata soltanto ad una formale richiesta che deve trovare giustificazione in motivi personali e familiari. La discrezionalità del dirigente scolastico è esclusa a priori. Nelle sentenze sopracitate si legge: “nessuna discrezionalità è lasciata al dirigente scolastico in merito all’opportunità di autorizzare il permesso e le ferie per queste particolari ipotesi, né, in particolare, gli è consentito di comparare le esigenze scolastiche con le ragioni personali o familiari certificate per cui il permesso è richiesto, ma avrà solo un controllo di tipo formale in merito alla presentazione della domanda; né tanto meno, è consentito al dirigente scolastico porre delle regole preventive che vietino o restringano la possibilità per i docenti di usufruire dei permessi o delle ferie in periodo di attività didattica qualora queste siano richieste per motivi personali o familiari” (Tribunale di Monza 2011 – Tribunale di Lagonegro 2012). A questo si aggiunge il parere dell’ARAN prot. n. 2698 del 2011 in cui esplicitamente si afferma che: “la previsione contrattuale generica ed ampia di motivi personali o familiari e la possibilità che la richiesta di fruizione del permesso possa essere supportata anche da autocertificazione, a parere dell’Agenzia, esclude un potere discrezionale del dirigente scolastico il quale, nell’ambito della propria funzione – ai sensi dell’art. 1 del CCNL 11/4/2006 così come modificato dal CCNL15/07/2010 relativo al personale dell’area V della dirigenza e ai sensi dell’art. 25 del D. lgs. 165/2001 – è preposto al corretto ed efficace funzionamento dell’istituzione scolastica nonché alla gestione organizzativa della stessa”.

Eliminato il potere discrezionale del dirigente scolastico non resta che accertare quale siano i paletti entro cui limitare l’autocertificazione ovvero se il dipendente è tenuto a dare indicazioni circostanziate e puntuali a sostegno della sua richiesta. A questo aspetto ci ha pensato la sentenza del Tribunale di Sciacca (2013) che ha sorvolato sulle motivazioni presentate dalla parte resistente perché tendenti a legittimare il rifiuto, insistendo sulla “genericità delle giustificazioni addotte dalla ricorrente” in quanto prive di “indicazioni puntuali sulle circostanze di luogo e di tempo”. Il giudice ha motivato tale principio della indeterminatezza della autocertificazione, prendendo spunto da quanto affermato dall’ARAN nel parere sopra citato: “la formulazione ampia e generica del precetto (motivi personali o familiari) esclude che il richiedente sia tenuto ad indicare specificatamente le ragioni di luogo e di tempo”.

Se ne deduce che l’autocertificazione di cui parla l’art. 15, comma 2 non debba essere dettagliata oltre misura, ma al contrario è opportuno che trovi un equilibrio all’interno di quella locuzione “generica ed ampia” di cui parla l’ARAN.

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